Pita: il vero antenato della pizza

Farina e acqua, due ingredienti magici che hanno fatto la storia di tutte le civiltà sorte e sviluppate sulle coste del Mar Mediterraneo: oggi parliamo della pita, il vero antenato della pizza, le cui origini antichissime si perdono nel tempo. La ricetta originale prevede farina, acqua tiepida, 9 g di lievito di birra fresco, un cucchiaino di sale e un po’ di zucchero.
Nota dall’epoca babilonese, dunque già 4.500 anni fa, la pita si può considerare l’antenato di tutte le preparazioni a base di pasta lievitata, dunque anche del pane.
Ora, allaccia le cinture, perché oggi faremo un viaggio all’indietro nel tempo, con una DeLorean profumata di pane appena sfornato, percorrendo i paesi più caldi del bacino mediterraneo.
Ritorno al passato: origini e diffusione della pita, la progenitrice dell’adorata pizza
A quanto pare, sembra proprio che tutte le civiltà sviluppatesi sul Mediterraneo abbiano sentito l’esigenza di impastare assieme acqua e farina, di aggiungere lievito e infornare, creando un composto di base a cui aggiungere vari ingredienti a piacere.
Che le preparazioni a base di acqua, lievito e farina facessero parte delle tavole delle comunità più antiche è un dato storico e ce lo dimostra proprio l’etimo della parola pita, in greco πίτα. Troviamo la medesima radice etimologica anche nelle traduzioni arabe, ebraiche e libanesi.
Ognuna di queste civiltà, di conseguenza, custodisce nella propria cucina tradizionale il profumo di una pagnotta calda, sostanziosa e fragrante, da farcire con tanti ingredienti locali come pomodoro, melanzane, formaggio e basilico.
La versione più antica della pita è sicuramente quella consumata dal popolo babilonese. L’illustre civiltà, celebre per aver dato impulso a discipline come l’astronomia, l’algebra, la medicina, consumava con dovizia la pita, parola che ancora si trova nel vocabolario Talmud babilonese e significa per l’appunto pane.
La diffusione del disco soffice e gustoso fu costante nel corso dei millenni, tanto da diventare il sostentamento ufficiale dell’intero mondo ebraico, dell’Arabia (la pita si chiama anche pane arabo) e della Persia: non è raro infatti incontrare la pita nell’iconografia tradizionale di questi paesi, spesso accanto alle immagini dei colorati mercati dove si commerciavano spezie e tessuti.
In Libia, ancora oggi, la pita si serve in accompagnamento al meze, un piatto tipico a base di sottaceti, carne di agnello, fegato, frattaglie e fagioli.
Come si sa, il cibo è il primo fattore di contaminazione, viaggia assieme ai popoli e anche durante le invasioni o le guerre, genera la conseguenza di diffondere usanze alimentari e di inventarne di nuove. Così succede che la pita, approdata in Grecia, si evolve in una preparazione a base di sottile pasta sfoglia non lievitata, condita e poi cotta in forno. Questa succulenta ricetta, realizzata oggi con sottilissimi strati di croccante pasta fillo, prende il nome di gibanica e si pronuncia gibànitsa.
Esiste anche una versione dolce, la prekmurska gibanica, che è una torta serba realizzata con tre farce, di noci e mele, ricotta e semi di papavero.
La gastronomia greca accoglie l’idea di pita e la declina in un ampio assortimento di preparazioni, tra cui una torta dolce o salata, la cosiddetta vasilopita oppure la spanakopita, realizzata con pasta fillo e un ripieno di spinaci. La si accompagna a salse e intingoli come la tzatziki (una crema a base di yogurt di latte di capra e cetrioli) o al gyros che si prepara con carne di maiale: si tratta di un piatto unico che si serve nelle osterie locali, ma che non è difficile trovare anche nei truck food.
Sempre nei Paesi Balcanici, come in Ungheria, la pita assume un significato di piatto rituale, servito soprattutto in occasione di feste e cerimonie: celebre è infatti, a Natale, l’usanza di nascondere una moneta nella pita fortunata come simbolo di abbondanza e di prosperità.
La caratteristica peculiare di queste preparazioni è la cottura in forno, in cui la pita assume due consistenze: una superiore che diventa molto croccante, e una interna che assorbe acqua e si trasforma in soffici strati.
Numerose ricette prevedono una spennellata superficiale d’uovo, mentre il condimento può variare fra ricotta, frutta secca, mele, frutti di bosco, prugne, pere, amarene, fragole e lamponi. Si possono aggiungere carrube, vaniglia, carne macinata mista, funghi, spinaci, porro e patate, melanzane e cavolfiore. Queste pite vengono poi servite condite con panna o con miele.
La pita, nei Paesi Balcanici, è un piatto versatile che si può consumare a colazione, a merenda, a pranzo o a cena, come spuntino o snack, oppure come aperitivo: in un menu tipico greco troviamo anche lo strudel o il burek, che sono considerate altrettante gustose versioni di pita.
Paese che vai, pita che trovi: la somiglianza con il kebab
In Turchia è facile imbattersi in un döner kebab, la bottega o il baracchino ambulante dove il cibo tradizionale è venduto come street food.
La pizza alla turca si chiama lahmacun e si pronuncia lamagiun, ed è un’evouzione della pita, un piatto unico che comprende pomodoro, cipolla, macinato di carne d’agnello, il tutto condito con un’abbondante dose di peperoni e spezie.
A differenza del kebab che consumiamo oggi, il lahmacun si distingue a prima vista da un involucro di pasta molto più sottile e croccante, a differenza della consistenza della focaccia a cui siamo di sicuro più abituati.
Non troppo lontano dalla Turchia, in Georgia, si mangia il khachapuri (che si pronuncia hahgiapuri). Si tratta di un disco di pasta ovale, piuttosto alto e soffice che somiglia molto alla nostra pizza, ma è caratterizzato da formaggio fuso e da un uovo al centro.
Se ci fermiamo in Medio Oriente, per una cena da mille e una notte, troveremo ancora altre varianti della pita. In questi luoghi si gusta il lafa, molto apprezzato in Iraq; è una sorta di lahmacun ma realizzato con una pasta più spessa, da condire con hummus di ceci, babaganoush (una crema di melanzane), spezie, falafel (le tipiche polpette speziate di farina di ceci) e shawarma (un piatto mediorientale di carne molto saporito, condito con cumino e coriandolo).
Il nostro Stivale, crocevia di numerose culture e popolazioni
Anche nella penisola italiana, la pita fa da padrona.
Lo stivale ha visto fondersi, come forse in nessun’altra parte del mondo, centinaia di tradizioni culinarie differenti, basate su materie prime d’eccezione. Gli antichi Romani, in origine, preparavano delle focacce lievitate chiamate offa, comprese le alternative senza lievito, più sottili e croccanti, conosciute con il nome di placenta.
Oggi, in Calabria, si può gustare la famosa pitta, la cui radice etimologica non lascia dubbi: si tratta di una sorta di ciambella di pane da accompagnare con il morzeddhu, un condimento molto piccante a base di frattaglie, trippa e altre interiora.
Nelle ridenti terre romagnole si mangia la piada che altro non è che un pane medievale non lievitato, le cui radici risalgono all’epoca greca e bizantina: se un tempo veniva consumato come sostituto del pane, cotto nel testo, oggi la piadina si mangia con affettati, rucola e con il celebre formaggio squacquerone. Questi sono solamente alcuni degli abbinamenti tradizionali, ma la piada si può farcire con qualsiasi tipo di ingrediente, dalla salsiccia alla pancetta, dalle verdure ai formaggi più saporiti, fino al lardo: non a caso è la “piadina onta“ che i giovani mangiano non appena usciti dalla discoteca.
Proseguendo con il nostro viaggio lungo le regioni italiane, così sfaccettate e ricche di usi e costumi, in Liguria è celebre un’antica pita con un nome bizzarro, piscialandrea: se vi capiterà di richiederla in un forno ligure, vi verrà servita una focaccia spessa e ricca, simile a una torta, condita con i tipici prodotti regionali come le olive taggiasche, le acciughe, i pelati e tanto, tanto aglio.
Un piatto ardito e riservato ai palati più coraggiosi; le origini di questa originale pita ligure sono contese tra sanremesi e francesi. La versione d’Oltralpe, per l’appunto, si chiama pissaladière e si riconosce per un’abbondante farcia di cipolle al posto del pomodoro fresco.
Voliamo verso sud, fino a Palermo, dove possiamo trovare una variante della pita molto simile alla cugina ligure, il famoso sfincione.
Protagonista assoluto dello street food, assieme ad arancine e pane con la meusa, questa focaccia è super invitante: viene condita con tanto pomodoro, acciughe, caciocavallo palermitano e origano, per poi essere venduta nei tradizionali carretti siciliani.
Lo sfincione, nonostante sia piuttosto conosciuto anche nel Settentrione, è una focaccia esclusiva della città di Palermo e viene realizzata dagli antichi forni locali per le occasioni di festa: una vera chicca, una rarità da non confondere assolutamente con la pizza, pena il linciaggio. Del resto, la cucina siciliana e nello specifico quella di Palermo è unica nel suo genere, campanilistica e custodita con devozione dagli estimatori.
La pizza napoletana: la regina
Se parliamo di pizza, tuttavia, non solo in terra italiana ma in tutto il mondo, il pensiero vola a Napoli, insieme al mandolino e a un pino sullo sfondo del golfo, incorniciato dal Vesuvio. Eppure, indagando, potremmo scoprire che anche la pizza, alla fine, è un’evoluzione della pita!
Infatti, nonostante esistano fonti che risalenti al 1.000 d.C. che ne testimoniano l’origine, la pizza in quanto alimento made in Italy è stata codificata soltanto in tempi recenti, da circa 200 anni.
In base ai documenti storici, la leggendaria pizza Margherita nasce nel 1889, in onore della regina che, con re Umberto I, era in visita a Napoli. In occasione della visita dei Savoia, il cuoco Raffaele Esposito, a cui si deve la fortunata invenzione, decise di condire la pizza con i colori italiani: pomodoro, mozzarella e basilico. E questi sono rimasti come gli ingredienti che caratterizzano il cibo più esportato e conosciuto nel mondo.
Prima del boom economico, nel resto dell’Italia unificata la pizza Margherita (assieme alla Marinara, le due icone partenopee), non era conosciuta, a causa soprattutto della preponderanza delle cucine autoctone del luogo, e della loro profonda reticenza nel fondersi e mescolarsi.
Se è vero che sono i viaggi e i commerci a determinare la diffusione di un particolare alimento, è altrettanto consolidato il fatto che le diffidenze culturali rallentano la contaminazione tra popoli, comprese le ricette regionali che diventano impermeabili tra di loro.
La pita oggi: perché è un cibo di tendenza?
Abbiamo snocciolato quali siano le origini della pita, giunta in Europa prima di Cristo, dalla culla della civiltà occidentale e nella terra in cui si insedia l’uomo e si fonda l’agricoltura.
Una volta approdata in suolo europeo, la pita sconvolge quelle che erano le tradizioni culinarie più radicate.
Ma qual è il motivo del successo della pita, che continua senza sosta fino ai giorni nostri?
Merito della contaminazione culturale che stiamo vivendo, dell’epoca digitale in cui le informazioni (e le ricette ovviamente) viaggiano velocissime, ma anche dei take away arabi, turchi, pakistani, indiani, del ristorante greco a cui siamo abituati nelle nostre metropoli.
Grazie alla curiosità di food blogger e appassionati del settore, abbiamo la possibilità di assaggiare ogni giorno i cibi tradizionali provenienti da tutto il mondo, anche se spesso non conosciamo nel profondo come si mangia quel tale alimento.
E se volessimo portare nel nostro menu una proposta antica e farla diventare una ricetta trendy? Nel catalogo Fine Food Group trovi l’originale pita bread, perfetta da farcire con gli ingredienti suggeriti dalla tua fantasia di chef.
Oltre alla pita trovi tanti prodotti da forno per la ristorazione, tra cui bagels, bun (pane da hamburger), potato roll (il pane a base di patate), panini da latte e Pico, la divertentissima invenzione di Fine Food Group a metà tra la pizza e il taco – pronti all’uso per accogliere le farce più sfiziose, accattivanti e originali della cucina Tex-Mex, a stelle e strisce, internazionale.
Qualche idea per il tuo ristorante di tendenza
Proprietario di ristorante etnico, di track food, o semplicemente ristoratore che desidera dare un twist alla sua attività? La pita è un ingrediente che potresti amare alla follia!
Perché non offrirla farcita con macinato d’agnello, aglio, cipolla e peperoni, oppure in mood Naples Style, con friggitelli e pomodoro? Forza con le idee e la gioia della sperimentazione! Aggiungi le spezie: cumino in polvere, pepe, cardamomo, un pizzico di paprika, e accompagna con le salse più saporite scegliendo tra le nostre salse: avrai un risultato sempre nuovo e diverso.
Insomma: più pita per tutti!